Le politiche per i migranti non si possono fare senza i migranti, intervista a Klodiana çuka ad Albanianews.it

intervista a cuka

Intervista con Klodiana Cuka, esperta di politiche migratorie, impegnata nel sociale e in politica con il centro-destra salentino, sulla partecipazione politica dei cittadini di origine straniera e i diritti di cittadinanza.

“Non sono diversa, sono tutto un’altra storia. Concreta, Unica, Kiara, Autentica”. Ha esordito con questo slogan Klodiana Cuka alle regionali del 2010, candidandosi per “Puglia prima di tutto”, partito pugliese vicino al PDL, che ha ottenuto il 7% dei voti e 4 consiglieri. Cuka non è stata eletta, ma è determinata ad andare avanti perché oltre agli slogan, le interessa la sua missione in politica ossia un cambiamento italiano che parte dalla Puglia, o meglio dal Salento e Santa Maria Leuca, il punto estremo del tacco d’Italia, perché questo paese ha bisogno di un “cambiamento radicale politico, sociale, culturale”.

Ha una visione chiara che su alcuni aspetti va oltre quella del centro-destra. Il suo progetto politico “non è legato all’immigrazione, ma a un modo di vivere diverso, per creare una nuova società, non multiculturale ma interculturale, fatta con tutti, incluso i cittadini di origine straniera”. Ma non solo. Il suo impegno quotidiano riguarda in primis “la politica per il territorio e la politica al servizio delle persone”.

Invece, la sua appartenenza politica culturale, a partire dalle vicissitudini familiari in Albania, le ha permesso di convergere in modo naturale tra le file dell’AN nel 2002. Oggi, continua in “Puglia prima di tutto” ed è punto di riferimento per le politiche migratorie del PDL salentino e pugliese.  Comunque, Cuka vuole che si distingua tra la militanza in politica e il lavoro nel sociale. Di fatto, lei “nasce e opera nel sociale”, un ambito che “non ha appartenenze politiche”, ma “la persona al centro del suo universo”. 8 anni fa, ha fondato insieme ad altri l’Associazione Integra di cui è anche Presidente. Oggi, Integra che opera principalmente nella mediazione interculturale e le politiche di integrazione, oltre a Lecce ha sue sedi anche a Bari, Roma e Milano e un bagaglio di competenze in continuo consolidamento.

Dall’altra parte, l’esperienza di vita da donna migrante e la crescita nel sociale, avranno sicuramente influenzato anche l’impegno di Cuka sul versante dei diritti. Fondatore del Movimento Nazionale dei Nuovi Cittadini che si batte per “una nuova società interculturale”, Cuka sta portando avanti anche la battaglia per la legge nazionale sui mediatori interculturali e non smette a ripetere l’importanza del protagonismo migrante. Sì, perché quanto si tratta di diritti, immigrazione, politiche migratorie e di integrazione, partecipazione, politiche del territorio, bisogna andare oltre la destra e la sinistra, e coinvolgere i migranti. Tutte le politiche fatte senza i diretti interessati non sono giuste. Come sono destinate a fallire quelle che non coinvolgono esperti in materia. E Cuka lo è in politiche migratorie non solo a livello nazionale ma anche comunitario.

Nelle elezioni regionali del 2010, il suo slogan era “Non sono diversa, sono tutta un’altra storia”. Perché l’ha scelto e cosa significa?

Perché si dice sempre che gli immigrati sono diversi e si fa sempre la distinzione tra “noi” e “loro”. E ho voluto dire che non sono diversa. In verità, è stato scelto dal mio staff di comunicazione. Per loro, Klodiana non è diversa perché è immigrata, ma è tutta un’altra storia per il suo modo di pensare e di agire, è vulcanica, chiara e autentica.

Qual è la sua mission in politica?

E’ una mission che ha preso forma via via, incontrando la gente e lavorando nel sociale. La candidatura mi è stata proposta il 25 febbraio, ho firmato il 27 sera quando sono tornata da Milano, e il primo di marzo ho fatto anche la prima diretta televisiva. Alla fine di 40 minuti di trasmissione mi hanno chiesto quale fosse il mio appello all’elettorato. Ho risposto che volevo affrontare la campagna elettorale per un cambiamento italiano che parte dalla Puglia. È questa la mia mission vera e che accompagnerà la Klodiana da politica.

Cosa significa un cambiamento italiano che parte dalla Puglia? Ho notato che in un certo senso appoggia anche il movimento per la regione del Salento. Come possono combaciare le due linee?

Infatti, sono proprio per un cambiamento italiano che parta dal Salento. Ma non per il fatto della Regione Salento: non andiamo a confondere le cose. Il territorio del Salento viene caratterizzato in modo diverso dal resto della Puglia anche legato all’immigrazione albanese perché i primi sbarchi sono avvenuti nel Salento. È il tacco d’Italia. L’Italia parte da qua o finisce qua. Quando parlo di un cambiamento che parte dal Salento oppure da Santa Maria Leuca che è il punto del tacco, significa che l’Italia in questo momento ha bisogno di un cambiamento radicale politico, sociale, culturale per una società nuova e interculturale. Il mio progetto politico non è legato all’immigrazione, ma a un modo di vivere diverso, per creare una nuova società, non multiculturale ma interculturale, fatta con tutti, incluso i cittadini di origine straniera che sono linfa nuova per questo paese.

Ritorneremmo su questo aspetto più tardi. È difficile per un cittadino non autoctono fare politica?

Certo che è difficile, ma oggi fare politica in Italia è difficile per tutti. Si può farla solo pensando alla Polis. Infatti sto cercando di portare avanti il mio percorso sociale e politico su questa base, perché alla fine sono una persona che nasce e opera nel sociale. Il mio percorso, la mia crescita  si devono al volontariato e allo sportello “Lecce accoglie” che mi ha dato modo di stare ogni giorno in contatto con i migranti. Ma anche al mio impegno nel capire la progettazione, i fondi strutturali, lo sviluppo locale, i percorsi per creare e far crescere un’associazione come Integra che tra poco compie 8 anni. Io sono per la politica del fare. Oggigiorno, fare politica è una cosa molto difficile soprattutto in questa crisi etica, morale e politica che attraversa l’Italia, ma anche l’Europa, l’Albania compresa. La politica che voglio fare con i miei ragazzi, con il mio staff, è la politica per il territorio, la politica al servizio delle persone, e cerco di farla quotidianamente.

Oltre ad essere di origine straniera, essere anche donna lo rende anche più difficile?

Purtroppo si. Essere una persona conosciuta e avere visibilità per il proprio impegno è a volte controproducente perché il pregiudizio torna ad essere un po’ quello che era nei primi anni quando eravamo “gli albanesi appena sbarcati”, o quando la ragazza albanese veniva vista come una ragazza “facile”. Oggi magari c’è chi dice “ma come caspita fa questa ad andare avanti” oppure “ma tu vedi quella albanese”. E poiché sei donna subito pensano che potresti aver scelto strade facili per andare avanti. Ma il lavoro è un dato di fatto e grazie a dio affianco a me ci sono decine e decine di persone che parlano anche del lavoro che viene svolto quotidianamente.

Un’altra curiosità, essere donna, essere di origine straniera e fare politica nel centro-destra è ancora più difficile?

Potrebbe sembrare un paradosso, ma bisogna contestualizzare e ritornare nel Salento. Faccio politica oggi nel PDL e lo faccio con convinzione. Ho un ruolo tecnico nella Provincia di Lecce e comunque sono punto di riferimento per le politiche migratorie del PDL salentino e pugliese. Però io vivo in un territorio dove non è conosciuto il razzismo, dove praticamente non fa tanta differenza essere straniero. Anzi, si tratta di un territorio che ha fatto e continua a fare tantissimo per gli stranieri. La Regione Puglia, sia quando governava il centro-destra, sia oggi che governa il centro-sinistra, è stata sempre una regione pilota in materia di politiche migratorie. Ecco perché per me non è pesante. Non so, forse fare politica nel centro-destra in Lombardia per una donna straniera potrebbe essere diverso. Per me è stato un percorso naturale farla nel PDL e nel Salento. Ho iniziato nel 2002 con l’Alleanza nazionale, sono cresciuta tra le sue fila e dopo in quelle del PDL.

La sfida del Movimento nazionale Nuovi Cittadini è quella di fare delle diversità ricchezza e opportunità per costruire una società nuova interculturale diversa da quella di oggi che appartiene a tutti e in cui tutti si possono riconoscere e trovare la propria dimensione. È sicura di essere di centro-destra?

Certo che sono sicura di essere di centro-destra. Sono sicura di essere di centro-destra tanto quanto lo è Naser Khader in Danimarca. Khader ha iniziato da piccolo in una famiglia dell’estrema destra. Io ho iniziato che avevo 30 anni e in modo naturale nel centro-destra. Come ho già spiegato più volte, una persona come me che è stata nipote del primo kulak in Albania, nipote di un “nemico del popolo”, una persona che non poteva sognarsi il diritto allo studio, che ha avuto uno zio nel carcere più duro del regime a Spaç e un altro esiliato in America, non poteva fare altrimenti. Anche oggi, non concepisco di stare con un’altra parte politica, perche sto bene e mi sento in casa dove sto oggi.

La mia domanda non era riferita all’appartenenza politica. Il modo in cui lei si pone, cioè almeno per quanto riguarda gli obiettivi del Movimento Nuovi cittadini, sembra che vada oltre il pensiero della destra.

Esatto, stai dicendo bene, il Movimento dei nuovi cittadini va oltre ogni colore politico perché il movimento ha un forte pensiero basato sul personalismo, sulla persona come essere umano, su una teoria della globalizzazione umana, per cui se cade un albero in una foresta dell’Africa, sono anche problemi miei che vivo nell’estremo oriente o nell’estremo occidente. Il Movimento non ha un colore politico, è trasversale. E mi fa piacere se si riesce a distinguere tra la Klodiana che fa politica in PDL e ha un suo pensiero politico, e la Klodiana, Presidente di Integra onlus, che opera e agisce come una persona per il sociale senza un pensiero politico. Perché il sociale non ha appartenenze politiche, è universale e ha la persona al centro del suo universo.

Dove si divide la sua visione con quella del centro-destra sui temi dell’immigrazione?

L’ho detto in tante occasioni che un paese si riconosce per la sua civiltà dal grado di accoglienza e di cittadinanza che può offrire alle persone che accoglie. Ecco perché alla fine, il mio pensiero nel centro-destra si ritrova quando si richiede la legalità e si richiedono condizioni dignitose per le persone che vivono in un paese. Dall’altra parte, il mio pensiero va oltre e per questo motivo è nato il Movimento Nuovi cittadini. Sono per il protagonismo migrante perché sia nel centro-destra, sia nel centro-sinistra, se le politiche vengono fatti per i migranti, senza la partecipazione dei migranti non saranno delle politiche giuste. Ecco perché l’Italia sta ancora molto indietro rispetto ad altri paesi anche se sono passati vent’anni. Poi le politiche non saranno mai giuste se non vengono comparate con quelle europee. L’immigrazione è un tema globale e deve essere affrontato non in chiave italiana ma prima di tutto in chiave europea. Per di più, l’immigrazione che sia trattato dal centro-destra o dal centro-sinistra non può essere mai affrontato, analizzato e programmato senza esperti, addetti ai lavori, e non potrà servire ai migranti.

Da anni si è impegnata nel sociale, nella mediazione culturale e nelle politiche di integrazione con l’Associazione Integra. Come è messa l’Italia sul versante delle politiche di integrazione?

Male. Ma anche qui bisogna distinguere di cosa si tratta. Se parliamo di servizi ai migranti o se parliamo di politiche migratorie.

Un’opinione complessiva su entrambi i versanti.

Potrei parlare da esperta di politiche migratorie comunitarie. Se andiamo a comparare la progettualità e lo stato di fatto delle regioni italiane con altre europee, ci sono dei punti di eccellenza. Per esempio, se parliamo della tratta degli esseri umani, l’Italia può fare scuola benissimo a molti paesi. Se parliamo di politiche migratorie scritte sulla carta sui piani di zona, sono delle ottime politiche di integrazione anche se poi vengono implementate male da molte parti. Se parliamo di mediazione interculturale, l’Italia sta molto dietro rispetto agli altri paesi. Se parliamo di asilo politico l’Italia è entrata nei binari dal punto di vista legislativo e pian piano si sta aggiornando ma comunque sta dietro ad altri paesi. Se parliamo di partecipazione attiva dei migranti, di associazionismo migrante, l’Italia sta molto dietro.

E se parliamo di diritto di voto?

Il voto è una questione molto delicata. Sarebbe giusto che ci fosse soprattutto a partire dalle amministrative, però non me la sento di darlo a una persona appena arriva in Italia, perché il voto è anche facilmente strumentalizzabile. E l’Italia conosce bene cosa significhi strumentalizzazione del voto. Quindi il diritto di voto lo legherei ad un minimo di 5 anni di presenza sul territorio. Non una presenza casuale ma orientata sul territorio che vuol dire una rete di associazioni ed enti che spiegano ai migranti la macchina amministrativa italiana, il territorio italiano, i servizi che il territorio offre. Solamente se il migrante conosce il territorio, può arrivare a votare, altrimenti diventerà pasto ai politici che sono in grado di comprare il voto e orientarlo dove conviene a loro.

Sembra un falso problema perché lo stesso può succedere con i cittadini italiani. Cosa significa, visto che il tuo voto potrebbe essere strumentalizzato allora non ti do il diritto di votare? Cioè il problema non sono io, ma chi mi vuole strumentalizzare.

Non stavo dicendo questo, ma che non darei mai il diritto di voto a una persona appena arriva sul territorio, perché deve avere il tempo per conoscere il territorio. E dopo è giusto che partecipi alla denominazione di una strada o al piano urbanistico del proprio territorio, che partecipi veramente e attivamente ai consigli comunali e perché no candidarsi, farsi eleggere ed eleggere.

Il concetto di partecipazione è molto strumentalizzato politicamente. Non è che c’è questa grande partecipazione nel territorio. Almeno io non l’ho notato.

Ritorniamo a quello che dicevo prima sulla partecipazione. Quando parlo di partecipazione dei migranti, non dista molto da quella delle donne e dei giovani italiani. Perché anche i giovani italiani oggi si stanno sempre di più allontanando dalla politica, come anche le donne italiane. Alla fine la partecipazione attiva di donne e giovani italiani e dei migranti è molto vicina. Sono tre soggetti che li trovi difficilmente in prima linea.

Invece i cittadini comunitari possono votare subito dal momento della residenza. Cosa cambia alla fine?

Dopo tre mesi. E sì, perché sono cittadini comunitari. Possono votare ma solo se vengono iscritti alle liste. Se noi andassimo oggi a fare un sondaggio in giro per l’Italia per vedere quanti comunitari sono stati iscritti e quanti hanno votato alle ultime elezioni amministrative, cosa verrebbe fuori? Moltissimi comunitari non lo sapevano e anche molti politici e consiglieri non sapevano che i comunitari potevano votare. A prescindere delle politiche di destra o sinistra, come dicevo prima, torniamo a parlare di partecipazione attiva, che come l’immigrazione e le politiche migratorie non appartengono né alla destra né alla sinistra.

Anche nel caso dei cittadini comunitari, se loro non vogliono partecipare, è una loro libera scelta. È un diritto che loro scelgono di non esercitare. Però non si può prendere come base per dire che visto che il voto può essere strumentalizzato, visto che i comunitari non partecipano, prima vi dobbiamo insegnare come partecipare e poi vi diamo il diritto di voto.

È il mio parere. Comunque vale anche per i comunitari. Ogni persona che vive in un territorio, ha il diritto di conoscere il proprio territorio e il dovere di decidere per il proprio territorio.

Da qualche mese il governo ha diffuso il Piano per l’Integrazione intitolato “Identità e incontro nella sicurezza”. C’era bisogno di aggiungere anche il termine “sicurezza”?

A mio avviso, l’immigrazione non per forza deve essere legata alla parola sicurezza, ma soprattutto alla parola integrazione. Però il centro-destra italiano è composto da vari pensieri. Anche in questo caso torno a ripetere che il protagonismo migrante sarebbe una sorta di antidotto. Non si possono fare politiche senza interpellare i diretti interessati.

Invece per quanto riguarda l’accordo di integrazione che oggi viene comunemente definito “permesso a punti”. Sostanzialmente è d’accordo?

Il permesso a punti, ma sopratutto la prova dell’esame di italiano aumenterà il numero dei migranti che parlano benissimo italiano. Forse tra qualche anno in Italia ci saranno più migranti che italiani che parlano bene la lingua italiana.

Quindi sostanzialmente è d’accordo imporre il test di lingua italiana?

Comunque anche se non sono d’accordo, è un provvedimento che è stato già deliberato. Tra l’altro è già iniziato per chi richiede la carta di soggiorno, quindi importa poco se sono o non sono d’accordo.

I diritti si conquistano o vengono concessi?

Ma diritti e doveri vanno di pari passo. Dalla mia esperienza di migrante posso dire che nella vita nulla ci è concesso, anche se ci sono alcuni diritti che sono inviolabili e su questo aspetto la Carta costituzionale italiana è lungimirante. Però alcuni diritti per essere ottenuti vanno a intrecciarsi anche con momenti storici. Ecco perché l’Italia ha bisogno di una grande rivoluzione culturale a capire che oggi ci sono altri 6 milioni di cittadini che provengono da altri paesi del mondo, sono una ricchezza, e non servono solamente per raccogliere i pomodori, per fare il parmigiano e lavorare nelle concerie. La storia dell’umanità si intreccia con la storia dell’immigrazione da sempre. Emigrare è un diritto, come lo è migliorare la propria vita finché si ottiene con lavoro e onesta. Ed è un diritto anche evolversi e diventare un Khader, un Giuliani o un Obama.

Come si può trovare la via di uscita nel dibattito politico sulla cittadinanza?

In Italia, sia la destra che la sinistra parlano da anni delle stesse cose, ecco perché a volte non bisogna neanche dire governo ladro quando piove. Se l’Italia ha bisogno di una riforma, va fatto. L’ho detto e non finirò mai di dirlo che serve una riforma in materia di politiche migratorie che porta le leggi italiane di pari passo con quelle europee. Non si può affrontare l’immigrazione solamente a livello di stato. L’immigrazione è un problema internazionale e deve essere affrontato come viene affrontato l’economia.

Quindi per quanto riguarda la cittadinanza?

La cittadinanza è legato al problema delle seconde generazioni. Un bambino quando nasce in Italia ha il diritto di essere cittadino. Ci sono molti figli della seconda generazione che non hanno una patria, perché la loro patria è l’Italia e non quella dei loro genitori.

Quali dovrebbero essere le tre priorità della politica italiana per quanto riguarda l’immigrazione?

Le priorità della politica italiana per quanto riguarda l’immigrazione, le collego prima di tutto a quella di un cambiamento culturale, di una rivoluzione culturale che va di pari passo, su un doppio binario. Da una parte, il migrante deve prendere la consapevolezza che in Italia non si trova solo per lavorare ma anche come cittadino con la piena dignità della cittadinanza e di un territorio che gli appartiene non solo come residenza. Quindi, i migranti devono fare un passo avanti a dire: “signori noi ci siamo, vogliamo esserci, vogliamo programmare insieme a voi e vogliamo crescere insieme a voi per una società migliore”. Dall’altra parte, le istituzioni e il popolo italiano devono prendere coscienza che ci sono le leggi ma anche tanti esseri umani diversi con le stesse problematiche di ogni cittadino. Perché lo sportello serve per il cittadino italiano, ma anche per quello migrante. L’unica differenza è quella carta che si chiama permesso di soggiorno. L’Italia potrà avere anche le leggi migliori del mondo, ma deve avere anche la consapevolezza che sta cambiando perché ha sei milioni di persone che producono PIL e benessere. Alla fine, le nostre badanti accendono il respiro nelle case con tanti anziani che sono soli, lasciando in Moldavia, in Ucraina, in Polonia, in Albania le loro famiglie sfasciate. Il codice demografico italiano sta crescendo grazie ai migranti, molte prime classi elementari chiuderebbero se non ci fossero i figli dei migranti. Il popolo italiano deve prendere coscienza che oggi c’è un altro popolo fatto di nuovi cittadini per cittadinanza e residenza che portano qualcosa di diverso che fa ricchezza. L’Italia è un paese fatta di 20 regioni e tante diversità e non dovrebbe avere tante difficoltà ad accogliere il diverso.

Tornando alle priorità, un’altra è la legge sulla cittadinanza. E un’altra ancora, in cui io stessa sono impegnata è la legge sulla mediazione interculturale. Abbiamo fatto anche l’appello ai presidenti di Camera e Senato e ai firmatari, perché la figura del mediatore è legata prettamente all’integrazione, oltre a dare dignità professionale a tanti migliaia di mediatori qualificati.

I tre problemi principali della società italiana di cui oggi dobbiamo occuparci?

L’Italia ha bisogno soprattutto di nuove politiche per creare sviluppo, per creare parità tra il nord e il sud, per creare sbocchi lavorativi, per far sì che in una regione come il Salento, che è la periferia della periferia, i giovani non lascino il territorio. La disoccupazione è un problema che oggi va risolto.

Alban Trungu

Fonte: albanianews.it